Negli ultimi anni, la Disney ha puntato sempre più sui remake live action dei suoi classici più celebri. Con Mufasa – Il re leone, ha deciso di spingersi oltre, proponendo una storia inedita che funge sia da prequel che da sequel del film del 2019..
Trama
Kiara, la figlia di Simba, è rimasta con Timon, Pumbaa e Rafiki mentre suo padre si allontana per raggiungere Nala, ormai prossima al parto. Per intrattenere la piccola, Rafiki le racconta la storia di suo nonno, Mufasa.
Come nasce il film
Non sono un amante dei live action Disney in quanto non aggiungono nulla alle versioni originali e, anzi, di solito ne sono inferiori sotto ogni aspetto. Il re leone del 2019, in particolare, è tra i meno riusciti: una copia inquadratura per inquadratura del capolavoro animato, ma senza l’espressività e l’emozione dei personaggi originali.
Vedere per 90 minuti un finto documentario su dei leoni mono espressivi fatti al computer è stato qualcosa di atroce. Mufasa – Il re leone, perlomeno, racconta una storia nuova e va ad aggiungere vicende che non conoscevamo – e delle quali a dire il vero non sentivamo la mancanza – come l’infanzia di Mufasa e come Scar si fece la cicatrice.
Regia
La regia di Barry Jenkins, vincitore dell’Oscar per Moonlight, è dinamica e alterna panoramiche mozzafiato a riprese ravvicinate con handycam, spesso mostrando i leoni in primi piani deformati. Sebbene Jenkins sia al suo debutto nell’animazione (perché, di fatto, un film completamente digitale come questo non è un vero live action), la sua esperienza nel raccontare storie legate alla cultura afroamericana ha portato una nuova sensibilità al progetto. Curiosa, tuttavia, la scelta di rappresentare i leoni “cattivi” di colore bianco: una coincidenza o un messaggio?
Commento
Il film alterna continuamente sequenze prequel (con la storia di Mufasa e Scar) e sequel (con Kiara, Timon e Pumbaa), ma solo il passato di Mufasa e Scar risulta davvero interessante. L’espediente di utilizzare un racconto come filo conduttore non aggiunge molto al ritmo, e le gag di Timon e Pumbaa risultano più forzate che divertenti.
Con una durata di 120 minuti, il film poteva tranquillamente essere ridotto a 90 minuti, eliminando le sequenze legate al sequel, che sembrano inserite solo per garantire la presenza dei personaggi più popolari nel trailer e vendere pupazzetti, oltre a presentare i figli di Simba per un ipotetico futuro terzo capitolo.
Cosa mi è piaciuto
La bromance tra Mufasa e Scar: è interessante vedere il loro legame fraterno prima del tradimento
I paesaggi: l’ambientazione varia da deserti e canyon a montagne innevate, regalando un colpo d’occhio piacevole.
Alcune canzoni: nonostante la colonna complessivamente non mi sia piaciuta, alcune canzoni, come ad esempio “Ho sempre desiderato un fratello”, le ho trovate carine.
Cosa non mi è piaciuto
Il messaggio del film che è completamente in antitesi con quello della pellicola originale: passiamo da “tutto questo un giorno sarà tuo” e “ricordati chi sei!” a un più democratico “re leoni non si nasce, ci si diventa“. Sebbene interessante, questa reinterpretazione lascia perplessi, soprattutto quando le prede sembrano disposte a morire pur di eleggere il loro predatore ideale!
La colonna sonora: le canzoni prese da sole sono carine, ma il paragone con la colonna sonora originale di Hans Zimmer è impietoso e, in aggiunta, vedere “cantare” dei leoni fotorealistici è qualcosa di che crea ilarità quando non dovrebbe farlo.
Il problema dell’ilarità involontaria non è comunque limitato alle canzoni ma si ripercuote su tutto il progetto: quando vedi questi animali iperrealistici che parlano e cantano, la tua mente non va all’originale e tanto meno all’Amleto, ti sembra piuttosto di essere di fronte alla brutta versione africana di Babe, maialino coraggioso (film comunque di molto superiore a questo Mufasa).
La gestione di Scar (Taka): il cambiamento del suo carattere da fratello leale a traditore avviene troppo in fretta, senza un’evoluzione narrativa adeguata. Avendo due ore di film, avrebbero potuto costruire lo sviluppo del personaggio in maniera più sensata e graduale.
La perfezione della CGI: è paradossale. Se da un lato l’iperrealismo è impressionante, dall’altro la scena in cui la cicatrice di Scar appare magicamente senza una goccia di sangue rovina l’illusione.
Conclusione
Rispetto agli altri live action Disney, Mufasa – Il re leone si distingue per il tentativo di raccontare una storia inedita e introdurre nuovi personaggi. Tuttavia, il risultato finale è inferiore alle aspettative. Finché il botteghino continuerà a premiare queste produzioni, la Disney difficilmente uscirà dalla comfort zone dei remake, rinunciando a esplorare storie completamente nuove.