L’Avventura del connazionale morente è un testo sul quale trovo piuttosto difficile riuscire a sviscerare le mie emozioni in modo preciso. Il rapporto che ho avuto con esso è stato molto vario nel corso delle varie fasi della produzione. Probabilmente il prodotto finale è risultato piuttosto diverso rispetto a ciò che avevo immaginato potesse venirne fuori in principio ed è stata quindi una notevole sorpresa anche per me scoprirlo, esattamente come può essere capitato a voi lettori che ancora inevitabilmente non lo conoscevate. L’avventura è, però, buona: secondo me nel complesso riesce anche a suscitare con forza ed efficacia quel certo brividino che una storia lovecraftiana dovrebbe provocare.
Credo che l’unica strategia utile attraverso la quale poter far capire cosa è successo con tale racconto in queste note sia appunto ripercorrere un attimo la cronistoria della mia personale percezione del testo.
Come ormai dovreste sapere, se mi avete seguito nei miei appunti precedenti, la fase iniziale del progetto 221B è stata legata alla scelta dei soggetti fra quelli inviati da numerosi sceneggiatori. Secondo l’opinione del sottoscritto, le prove inviate da Edoardo Rohl spiccavano subito fra le migliori e pertanto lo sceneggiatore fu subito selezionato con un certo entusiasmo. Restava da vedere quale fra le storie proposte individuare e, nonostante qualche indecisione, ci si direzionò ben presto sul “connazionale morente” per la fascinazione creata dalla vicenda e sicuramente – inutile negarlo – per la presenza in essa del personaggio di Wilbur Watheley, costituente un decisissimo legame con l’universo letterario lovecraftiano all’interno del nostro mondo ucronico.
Anche la realizzazione della sceneggiatura suscitò reazioni positive: fu necessario soltanto qualche piccolo ritocco per renderla più logica e coerente con l’universo di HPL autore, ma ben presto essa fu pronta.
I disegni furono affidati a Michele De Sanctis: buone prove senza dubbio, in attesa di vedere quello che ne sarebbe venuto fuori in fase di esecuzione dei disegni.
Come dicevo, la storia mi piace molto e trovo che anche l’aspetto grafico sia più che valido, nonostante alcune piccole incertezze qua e là. Il lavoro di De Sanctis, infatti, è stato nel complesso notevole: alcuni primi piani e diverse scelte di impostazione sono di pregevole fattura, così come l’inchiostrazione è di notevole livello. La scelta di rappresentare ambienti rarefatti e ai limiti dello spartano per quello che riguarda arredi e suppellettili crea senza dubbio un certo tono onirico, anche se d’altra parte a volte tale scelta risulta persino un po’ troppo esasperata. Alcune piccole cose da migliorare, in sostanza, ma nel complesso c’è da essere soddisfatti.
In sostanza, dunque, credo che proprio qui sia il punto: la storia è notevole e ricca di potenzialità, i disegni sono molto interessanti, anche se forse in qualche punto un pochino sintetici rispetto al “barocchismo” della scrittura di Rhol. La storia introduce, inoltre, uno dei fili di continuity più importanti dell’intero progetto. Una continuity piuttosto blanda la nostra, è vero, ma comunque l’accenno alla realtà del Necronomicon sarà uno dei fili conduttori presenti nell’intera serie e ci porterà fino a dicembre 1927, con particolare riferimento alle ripercussioni che si vivranno in almeno un paio di altre avventure.
Molto bella, per quanto un po’ “spoilerosa” la cover di Albano Scevola di questo mese. Appunterei l’attenzione soprattutto sui quadri che campeggiano sulle pareti di casa Watheley e sulla figura centrale, che manifesta già appieno l’afflato soprannaturale della vicenda.
Credo che per adesso le mie osservazioni siano giunte al punto. A presto con gli appunti personali sul quarto episodio!
Grazie mille per la recensione, Marco
Non c’è di che. Comunque l’articolo è di Umberto Sisia 😉