È morto ieri all’età di 92 anni il regista partenopeo Francesco Rosi. È stato uno dei più importanti esponenti del cinema di inchiesta italiano, vincitore di un Bafta (1983, per Cristo si è fermato a Eboli), un Orso d’Argento (1962, per Salvatore Giuliano), un Orso d’Oro alla Carriera, una Palma d’Oro (1972, per Il caso Mattei), un Leone d’Oro (1963, per Le mani sulla Città) e un Leone d’Oro alla Carriera. Senza dimenticare qualcosa come 4 Nastri d’Argento, 9 Globi d’Oro e 9 David di Donatello, se non ho fatto male i conti.
Aveva iniziato la carriera come illustratore e lavorando per Radio Napoli, quindi il teatro e in fine al cinema. Inizialmente addirittura come attore (Dove sta Zaza?), quindi assistente di Luchino Visconti in La terra trema e poi, sempre grazie a Visconti, co-sceneggiatore di Bellissima. In quei primi anni ’50 lavora come assistente regista anche per Luciano Emmer (Parigi è sempre Parigi, Il bigamo, dei quali è anche co-sceneggiatore), Raffaello Matarazzo (Tormento), Michelangelo Antonioni (I Vinti), Mario Monicelli (Proibito) e nuovamente Luchino Visconti (Senso).
Il suo debutto come regista avviene nel 1952 quando porta a termine lo sfortunato Camicie rosse di Goffredo Alessandrini e nel 1955 gira insieme a Vittorio Gassman Kean. Il suo vero esordio come regista unico è però nel 1958, quando gira La Sfida ottenendo subito il Premio Speciale della Giuria al Festival di Venezia; Segue l’anno successivo I magliari con Alberto Sordi.
Ma sono gli anni ’60 e ‘70 il periodo in cui il cinema di Francesco Rosi sarà al suo massimo, spesso anche grazie alle straordinarie performance di Gian Maria Volontè. Salvatore Giuliano, Le mani sulla città, Il momento della verità, C’era una volta (unico film di Rosi in quel periodo che non sia classificabile come “d’inchiesta”), Uomini contro, Il caso Mattei, Lucky Luciano, Cadaveri eccellenti, Cristo si è fermato a Eboli: per vent’anni praticamente Rosi non sbaglia un film è diventa uno dei più importanti registi in Italia.
Negli anni dirige ‘80 Philippe Noiret, Michele Placido e Vittorio Mezzogiorno in Tre fratelli. Nel 1984 è chiamato a dirigere la trasposizione cinematografica della Carmen di Bizet con protagonista il grandissimo tenore Placido Domingo. Sul finire degli anni ’80 dirige due film con cast internazionali: prima Cronaca di una morte annunciata, tratto dal romanzo di Gabriel García Márquez, con Gian Maria Volontè, Ornella Muti, Rupert Everett e Anthony Delon, quindi Dimenticare Palermo nel 1990, con James Belushi, Mimi Rogers, Vittorio Mezzogiorno, Philippe Noiret e Giancarlo Giannini. Nel mezzo è uno dei 12 registi a firmare, col suo segmento su Napoli, il film 12 autori per 12 città. Tornerà a raccontare la sua Napoli anche nel 1992, nel documentario Diario napoletano. Chiude la carriera cinematografica nel 1997 (in seguito firmerà ancora alcune regie teatrali), quando realizza la trasposizione di La tregua di Primo Levi, con Claudio Bisio, John Turturro, Massimo Ghini e Rade Serbedzija.