Di notizie sull’uscita italiana ancora non ne esistono, ma il 29 maggio in Francia arriva in sala un film (almeno da me) molto atteso, “L’attentat (L’attentatrice)” di Ziad Doueiri.
Presentato a partire dal settembre 2012 in alcuni prestigiosi festival (tra cui segnaliamo il Telluride Film Festival e il Toronto International Film Festival, in cui utilizzava il titolo internazionale “The Attack”), il lavoro di Doueiri è tratto dal libro di Yasmina Khadra “L’attentatrice” (pubblicato in Italia da Mondadori).
Yasmina Khadra è lo pseudonimo di Mohamed Moulessehoul, algerino classe 1956, reclutato alla scuola dei cadetti a nove anni e poi ufficiale dell’esercito algerino. Dopo i primi libri pubblicati a suo nome, che gli costarono la disapprovazione dei superiori, ha iniziato a usare come pseudonimo il nome della moglie, con il quale ha pubblicato alcuni romanzi di successo in Francia prima di svelare la sua identità, lasciando anche l’esercito, nel 1999.
La storia ha come protagonista il dottor Amin Jaafari, cittadino israeliano di origine araba, che lavora come chirurgo in un ospedale di Tel Aviv.
Il giorno in cui un kamikaze si fa esplodere in un ristorante nel centro della città, Amin soccorre freneticamente per lunghe ore i feriti che arrivano al pronto soccorso. Ma questa orribile giornata di morte e distruzione inaspettatamente prende per lui una piega molto personale quando scopre che la terrorista kamikaze è sua moglie Siham.
Un avvio di narrazione che colpisce e spiazza, ma nel libro “L’attentatrice” quel che conta non è tanto la pura trama (comunque attualissima e di grande presa sul lettore) quanto il lavoro prezioso nella costruzione dei suoi personaggi, in una situazione politica (e privata) altamente complessa, in cui è difficile se non impossibile schierarsi da una parte o dall’altra.
Chissà se il film riuscirà a rendere nello stesso modo… Doueiri gira “L’attentatrice” in arabo (anche se la produzione è francese), ed è arrivato a questo film dopo un lungo percorso: è stato primo assistente alla camera in molti film, in “Pulp Fiction” e “Jackie Brown” di Quentin Tarantino tra gli altri. Poi il passaggio alla regia, nel 1998 con “West Beyrouth” (in cui recita anche suo fratello Rami), con il deludente “Lila dice” del 2004 (anche quello da un libro, il pruriginoso romanzo di Chimo, e una puntata della serie “Sleeper cell”. Poi più nulla, fino all’ispirazione da Khadra.
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A interpretare il dottor Amin è Ali Suliman, visto in “Nessuna verità”, “Paradise now” e “Il tempo che ci rimane” (e prossimamente in “Zaytoun” di Eran Riklis); la moglie Siham è invece Reymond Amsalem, intensa co-protagonista di “Lebanon” e tra gli interpreti di “Rendition”; nel cast c’è anche Uri Gavriel (interpreta il capitano Moshe), noto in Italia per le sue parti ne “La banda” e anche nell’ultimo capitolo de “Il cavaliere oscuro”.