Nel film Il dottor Stranamore, l’integrità dl mondo è nelle mani di un manipolo di generali e alti gradi del governo che minacciano di sganciare la bomba atomica sull’Unione Sovietica.
Il film, concepito in piena guerra fredda, è una geniale satira politica, una requisitoria feroce contro l’ottusità dei potenti che ci governano: il mondo è nelle mani di persone illuminate dalla ”ragione”, ma in realtà è follia e noi comuni mortali ci rimettiamo sempre. Peter Sellers interpreta tre ruoli ed è istrionico più che mai.
La guerra è dei generali, la guerra è degli stupidi. Bisogna prestare attenzione ai nomi utilizzati in chiave simbolico-parodistica: il generale che da l’ordine di attaccare si chiama “Jack The Ripper” (ossia Jack lo squartatore), quello impotente ha il nome di Turgidson, il coadiutore sottomesso si chiama Mandrake come il supereroe e via dicendo.
Guardando il film a più di quarant’anni dall’uscita nelle sale, in bianco e nero, girato soprattutto in interni, costruito su maniacali conversazioni e dibattiti riguardanti l’opportunità o meno di attaccare sorprendendo il nemico, ci si rende conto di quanto questo prodotto kubrickiano regga perfettamente il passare del tempo, nonostante tratti un tema piuttosto delicato. Quando uscì si era nel pieno della guerra fredda e nonostante non tranquillizzasse nessuno, lasciando a noi inquietanti e nebulosi interrogativi, in Stranamore Kubrick mette a fuoco il problema della “bomba”, la bomba intesa come fine del mondo. Nell’unico modo possibile adatto per l’intrattenimento: la leggerezza, il surreale, l’ironia, calcando la mano sulle nefaste conseguenze, perfino esagerandole. Lo spettatore potrà pure credere di essere davanti a uno spettacolo impossibile, quando invece lo spettacolo è soltanto una delle tante opzioni su cui quasi nessuno ha la possibilità di incidere.
A parte i governanti, certo, gli occupanti della stanza dei bottoni, impegnati solo a litigare tra loro o col nemico piuttosto che difendere il pianeta: questo è l’aspetto morale.
Mentre dal punto di vista perfettamente filmico, credo che il motore centrale della vicenda, sia per i tempi che la grande versibilità e credibilità nell’interpretazione, sia il colonnello Turgidson (George Scott), il falco del Pentagono, che svegliato durante un appuntamento galante con la segretaria, subito accorre nella sala ovale, dove offre un impareggiabile sfoggio di tecnica militare e strategia fantapolitica. Anche se poi, col tempo, si scoprirà che lo stesso Henry Kissinger nei suoi rapporti discuteva amabilmente di milioni di morti come se fossero state zanzare. La scena in cui Scott simula il volo del “caccia” americano mentre sgancia bombe atomiche sul nemico è una delle più riuscite ed esilaranti di tutto il film, interrotto bruscamente dal presidente che lo rimbrotta afferma: “Basta così colonnello, credo che quello che abbia detto sia più che sufficiente”.
Dalla scomparsa di Kubrick in poi osannare i suoi lungometraggi sembra divenuto essere uno sport internazionale e forse lo è; credo tuttavia che di fronte a tali affreschi poco ci sia da aggiungere se non godersi la visione come di fronte a un Tiziano o a un Raffaello. Non è un film sulla guerra, è un film pacifista, sicuramente, ma improntato sullo studio dell’idiozia umana nei confronti dei grandi temi dell’esistenza.